pubblicato su Il genio quotidiano del 13 gennaio 2012
di Vito Foschi
Quest'anno il vescovo della diocesi di Rieti comprendente anche il paese di Greccio che vide l'invenzione del presepe da parte di San Francesco che credo, senza tema di smentita, qualcosa sulla sobrietà sapesse, ha deciso di non realizzare il presepe in cattedrale; la motivazione è stata che in periodi di sobrietà, termine quanto mai di moda, il presepe sarebbe stato fuori luogo. Che un vescovo possa in un certo senso andare contro un santo è una cosa che inquieta, poi si aggiunge che la parola d'ordine sulla sobrietà venga dettata dalle autorità politiche e propagandate dai giornaloni del potere economico si ottiene l'immagine di una Chiesa ossequiosa ai poteri del secolo. Ma la Chiesa non è carne e spirito? Dove è finito lo spirito? Oltre ad un vescovo totalmente calato nel secolo, stupisce il richiamo alla sobrietà in tempo di festa. Gesù non è quello che moltiplica il vino alle nozze di Cana o quello che banchetta con i pubblicani? Se nell'Ultima Cena è stato benedetto il vino e non l'acqua un motivo ci sarà. Queste considerazioni generali lasciano presto spazio al sospetto che il vescovo non abbia mai realizzato un presepe. Chi ha una pur minima esperienza nella realizzazione della sacra rappresentazione sa benissimo che gli elementi base sono muschio, sughero, sassi, rametti, scatole di cartone e similari. In Puglia, per esempio, per simulare le palme si usa una sorta di cipolla selvatica che ne ricorda la forma. Dove è la mancanza di sobrietà in questi poveri elementi? Qualcuno potrebbe obiettare che le statuine del presepe a volte sono vere e proprie opere d'arte dal costo di alcune centinaia di euro e anche più, ma ciò non impedisce l'uso di soluzioni più povere fino all'uso della pasta di sale o di sagome di legno o cartone. Queste considerazioni ci permettono di aggiungere un altro elemento alla sobrietà del presepe che è il valore della famiglia. Gli elementi durevoli del presepe si trasmettono di padre in figlio a testimonianza di un'unione familiare che va oltre il tempo e la stessa costruzione del presepe anche quando superba opera artistica coinvolge l'intera famiglia, con il compito di posizionare il Bambino affidato ai più piccoli. Il presepe rappresenta l'unione nel tempo e nello spazio, il riunirsi dei parenti, della famiglia. È frequente risparmiare tutto un anno per poter acquistare un singolo pezzo importante che andrà ad aggiungersi agli altri. Pezzi che poi finiranno ai figli che potranno continuare nella ricerca della statuina artigianale. Non mi sembra che il risparmio non sia buona cosa. La Chiesa, oltre ad essere la sposa di Cristo, è anche una famiglia e non fare il presepe è venir meno ai vincoli intergenerazionali e si può immaginare che la cattedrale di Rieti possegga dei pezzi antichi acquistati dai precedessori dell'attuale vescovo o donati da ormai ignoti fedeli. Inoltre vengono meno anche i legami familiari visto che il presepe di una cattedrale non crediamo sia opera di un singolo. Non c'è sobrietà in tutto questo? Ci si piega al secolo sperando di cogliere il fugace spirito del tempo dimentichi che il tempo della Chiesa è l'eternità.
venerdì 21 dicembre 2012
domenica 4 novembre 2012
Riformare le pensioni è cosa buona e giusta
Pubblicato su Lo Spiffero il 7 settembre 2011
di Vito Foschi
Dopo l’ennesimo crollo della borsa con il differenziale fra
Bund e Btp tornato ai massimi, il governo continua a rimaneggiare la
finanziaria con interventi, i più vari, ma che ricordano il vecchio Visco. Fra
le varie proposte, che si sono succedute nei giorni scorsi, c’è stata quella di
rimettere mano alla riforma pensionistica al fine di anticiparne i tempi di
attuazione, in modo tale da ottenere prima i risparmi previsti. Si sarebbe
trattato, per esempio, di antipare ad oggi il requisito dei 65 anni per andare
in pensione eliminando la gradualità esistente nella legge attuale. È un’idea
con cui concordiamo e che avrebbe contribuito a rassicurare i mercati; porterebbe
a un sicuro risparmio per le casse dello Stato ripetuto nel tempo e non una
sola volta come il famigerato contributo di solidarietà o il condono. Proposta,
peraltro, di facile attuazione e che non sarebbe andata a colpire i cittadini
con nuove tasse e balzelli.
Al di là dei risparmi economici e della riduzione del debito
pubblico, sarebbe stata anche, se il lettore vorrà perdonarci il linguaggio un
po’ sindacale, anche una misura di equità. Infatti, chi oggi è relativamente
giovane, andrà in pensione nelle migliori delle ipotesi a 65 anni con una
pensione molto bassa, chi invece è avanti negli anni, può ancora andare in
pensione prima dei 65 e con una pensione relativamente alta. Un’accelerazione
della riforma ridurrebbe questa discriminazione basata sull’anno di nascita.
Attualmente i conti dell’INPS appaiono in positivo grazie all’apporto dei
precari, che versano dei contributi senza aver diritto a quasi nessuna
prestazione: i soldi della cosiddetta gestione separata, ovvero dei precari, vanno
a coprire i buchi delle altre gestioni.
Volendo fare i conti della serva, il sistema pensionistico
trasferisce ricchezza dai precari a chi ha un posto fisso. Se vi sembra giusto
questo.
Ricordiamo l’abolizione del cosiddetto scalone, ovvero
l’innalzamento immediato a 60 anni al 31 dicembre 2007 dell’età per andare in pensione
e costato secondo alcune stime 10 miliardi di euro. Fu attuato dal governo
Prodi a scapito dei precari che si videro innalzati i contributi da versare sui
contratti a progetto. Così i giovani si sono trovati una busta paga ridotta,
per poter fare andare in pensione, uno o due anni prima, i genitori dotati di
un super protetto contratto a tempo indeterminato.
La riforma pensionistica è sbilanciata nei confronti dei
giovani che sono costretti quasi da soli a ripianare il deficit INPS, mentre
chi è in pensione o è avanti negli anni è in qualche modo protetto, godendo
ancora dei passati vantaggi. Riformare le pensioni non solo genera risparmi, ma
è soprattutto un atto di giustizia nei confronti dei giovani.
sabato 22 settembre 2012
Il topolino bianco
La mia prima favola pubblicato sul sito http://www.favole.org/
di Vito Foschi
In una foresta abitava una famiglia di topolini. C’era la
mamma Tipa, il padre Tipo, e sette fratellini. Era una famiglia di topini
grigi, ma il più piccolo dei fratellini, che si chiamava Tipino, aveva il pelo
bianco. Questo era una cosa veramente brutta per la famiglia dei topini. Quando
andavano alla ricerca di semi nel prato, il colore bianco di Tipino si vedeva
da molto lontano e la grande Aquila, scopriva subito i topini. La famiglia era
riuscita a fuggire, ma Tipino non poteva più cercare il cibo insieme ai suoi
fratellini e rimaneva chiuso nella tana. I fratellini lo prendevano in giro per
questo e la mamma Tipa doveva consolare il povero Tipino che piangeva.
Un giorno Tipino prese coraggio è uscì dalla tana di notte
al buio, quando la grande Aquila dorme. Aprì la porta e piano piano uscì fuori
senza far rumore. Nessuno si accorse di niente. Tipino corse nel prato felice.
Finalmente non correva pericolo. C’era la luna piena e riusciva anche a trovare
del cibo. Ma il povero Tipino non sapeva che la notte è il regno della
terribile Civetta, che con i suoi grandi occhioni riusciva a scoprire anche i
più piccoli topolini anche di notte. Figurarsi Tipino con il suo pelo bianco! La Civetta scese in picchiata
verso Tipino che mangiava i semini. Il piccolo topino aveva imparato ad essere
attento e sentì il rumore delle ali della Civetta in tempo e corse nella sua
tana, chiudendo la porta. La famiglia si svegliò e chiese a Topino cosa fosse
successo. Topino piangeva e raccontò della Civetta. La mamma lo rimproverò
perché era uscito senza avvisarla, ma poi cercò di consolarlo per il grande
spavento.
I mesi passavano e per Tipino diventava sempre più noioso
rimanere chiuso nella tana, con gli scherzi degli altri fratellini. Ma arrivò l’inverno
e un bel giorno nevicò fitto fitto. Tutto il paesaggio era cambiato. Non c’era
più il verde del prato, il rosso e il giallo dei fiori, il marrone della terra:
c’era solo bianco. Ovunque! La famiglia uscì come al suo solito per cercare i
semini, ma questa volta il grigio del loro pelo si vedeva benissimo sulla neve
bianca. La grande Aquila attaccò la famiglia dei topini che incominciò a
correre verso la tana gridando a più non posso. Tipino si affacciò alla
finestra e vide la famiglia in pericolo. Senza pensarci due volte uscì dalla
tana e corse incontro alla famiglia in fuga. Con sua grande sorpresa si accorse
che il suo pelo era dello stesso colore della neve. Era finalmente diventato
invisibile agli occhi della grande Aquila. Sua sorella Tipa era rimasta
indietro e stava per essere raggiunta dalla Grande Aquila. Tipino corse a più
non posso e nascose sua sorella sotto di sé. L’Aquila vide sparire il topolino
senza capire cosa fosse successo e salì in alto per vedere meglio. A quel punto
Tipino e Tipa corsero più in fretta che potevano fino alla tana dove li
aspettava il resto della famiglia. La paura fa diventare anche i piedini più
piccoli molto veloci!
Tutti festeggiarono Tipino e i suoi fratelli smisero di
prenderlo in giro e anzi lo elogiavano per il suo grande coraggio. Per quell’inverno
e per tutti quelli a venire Tipino con il suo pelo bianco usciva a procurare il
cibo e la famiglia rimaneva nella tana. L’estate Tipino rimaneva in casa e i
fratellini cercavano i semini e così nessuno correva pericoli e vissero felici
per tanti anni nella foresta.
lunedì 10 settembre 2012
Giochi Benefici
Il libro può essere facilmente
apprezzato anche da un italiano perchè i giochi matematici risultano facilmente
comprensibili, mentre necessita un minimo di conoscenza della lingua inglese la
seconda parte dei quiz che affascinano per le rarità storiche e geografiche scovate
dall’autore. L’insaziabile curiosità dell’autore con il suo peregrinare in
maniera apperentemente casuale è fonte sicura di scoperte di gustosi aneddoti
storici e di stranezze scientifiche.
Particolare è anche la parte
dei giochi matematici che presenta giochi di nuova invenzione basate su meccanismi
simili al Sodoku e del calcolo binario. Un buon modo per passare qualche ora in
maniera intelligente.
giovedì 30 agosto 2012
Un episodio poco noto delta Rivoluzione Francese, genocidio di una regione ricca e popolosa: la Vandea
pubblicato su Archeologia & Cultura n. 7 del 4 aprile 2010, inserto culturale del quotidiano La Voce di Cerveteri e ripubblicato sul sito Storia Libera
di Vito Foschi
La Vandea
è un dipartimento della Francia che in passato risultava più esteso includendo
parte dei dipartimenti vicini. Tale regione è nota perché teatro di un episodio
importante, ma poco diffuso della rivoluzione francese. Normalmente la storia
viene spiegata come un dipanarsi di una matassa da un inizio ad una fine in
maniera progressiva senza deviazioni o salti all’indietro, eccetto forse per il
Medioevo. Naturalmente le cose non stanno così e solo per esigenze di
semplificazione scolastica viene raccontata in questo modo. Mediamente il
racconto della Rivoluzione Francese vede la semplificazione di un popolo in
rivolta contro un sovrano, ma le cose non sono proprio così a meno di
dimenticare episodi piuttosto importanti. Il più rilevante di questi, quello
che sinteticamente viene chiamato con il nome della regione da dove ha origine
è la: Vandea. Questo articolo metterà in evidenza la genesi degli eventi e
alcuni aspetti, evitando di annoiare il lettore con il racconto dell’interezza
delle operazioni militari.
La Vandea
era una regione ricca e popolosa prevalentemente agricola della Francia in cui
il senso religioso era molto forte. La Repubblica
Rivoluzionaria stretta da esigenze economiche e dominata da
correnti anticlericali espropriò i beni ecclesiastici che costituivano non solo
una ricchezza a disposizione del clero, ma anche dei cittadini e creò un clero
di stato autonomo da Roma; altro provvedimento non gradito fu la leva
obbligatoria, a cui tutti cercavano di sottrarsi. Tali leggi erano osteggiate in particolare dalla popolazione
della Vandea che vedeva secolari tradizioni infrante e violentato il suo senso
religioso. Da qui nacque una serie di guerre fra la popolazione vandeana e la Repubblica Francese.
Per attenersi al racconto lineare della storia, le guerre
vandeane sono state spesso denominate “controrivoluzione” visto che si opponevano
alla rivoluzione, mentre altri storici volendo mettere in evidenza la
spontaneità del fenomeno hanno coniato un nuovo termine, insorgenza, in
contrasto con i termini rivolta o rivoluzione che implicano comunque un che di guidato
o di organizzato.
In Vandea l’opposizione alla Rivoluzione non nasce per
motivi politici, ma spontaneamente nel cuore delle persone per semplice
reazione a quelli che considerava veri e propri soprusi come la leva
obbligatoria e la proibizione dei riti religiosi. Come se da un giorno
all'altro ci proibissero di fare quello che abbiamo sempre fatto. Chiaramente
accettare che la guerra della Vandea sia stata una insorgenza, significa
smontare l’assunto che la
Rivoluzione sia stato un moto di popolo contro il sovrano.
A parte l'interesse per un fatto misconosciuto della
Rivoluzione Francese, è interessante che questo conflitto è sfociato in un vero
e proprio massacro della popolazione civile compresi donne e bambini. La Repubblica Francese ,
dopo una fase indicata come prima guerra di Vandea, dette l’incarico a Jean
Baptiste Carrier di istituire un tribunale rivoluzionario che per eseguire le
migliaia di condanne a morte dei vandeani inventò le Noyades ovvero
annegamenti. I condannati, uomini, donne, bambini venivano legati e messi su
barche che venivano fatte affondare. Ad un certo punto si decise di affogarli
anche nudi per recuperare i vestiti. Oltre alla brutalità, si raggiunse il più
totale disprezzo della vita umana quando vennero legati i bambini alle madri e
fatti affogare insieme. Per accelerare le esecuzioni si provò prima con il
veleno e poi con le fumigazioni, una sorta di camere a gas. Da ricordare che la
violenza rivoluzionaria era rivolta verso la propria stessa popolazione e non
verso un nemico esterno.
Accanto al tribunale rivoluzionario la giovane repubblica
francese approvò l’idea del generale Louis Marie Turreau di istituire le
cosiddette "Colonne infernali", dividendo l'esercito rivoluzionario mandato
a domare la rivolta in colonne, per battere la Vandea in lungo e in largo con
il compito di distruggere tutto e uccidere tutti senza distinzione di età o di
sesso. Gli episodi raccapriccianti furono molteplici. I militari si diedero
allo stupro e al saccheggio, mutilando le persone prima di ucciderle e per fare
prima furono bruciati interi edifici per sterminare le persone all'interno, compresi
ospedali per far fuori anche gli ammalati fino ad arrivare al caso più
raccapricciante di militari rivoluzionari che conciarono pelle umana.
Alcuni storici hanno proposto di definire questo episodio con
il termine genocidio e di considerarlo il primo della storia moderna. Qui si sono accese le polveri delle polemiche
perché chiaramente per la
Francia la Rivoluzione è episodio fondante. Tra l'altro nella
Rivoluzione Francese nasce la modernità e i prodromi delle moderne ideologie e
accettare che il primo genocidio sia stato quello della Vandea, significherebbe
ammettere che le ideologie del '900 che hanno creato tanto tragedie sono figlie
della rivoluzione francese. Prospettiva agghiacciante per i nostri cugini
francesi.
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