venerdì 21 dicembre 2012

La sobrietà del presepe

pubblicato su Il genio quotidiano del 13 gennaio 2012

di Vito Foschi

Quest'anno il vescovo della diocesi di Rieti comprendente anche il paese di Greccio che vide l'invenzione del presepe da parte di San Francesco che credo, senza tema di smentita, qualcosa sulla sobrietà sapesse, ha deciso di non realizzare il presepe in cattedrale; la motivazione è stata che in periodi di sobrietà, termine quanto mai di moda, il presepe sarebbe stato fuori luogo.  Che un vescovo possa in un certo senso andare contro un santo è una cosa che inquieta, poi si aggiunge che la parola d'ordine sulla sobrietà venga dettata dalle autorità politiche e propagandate dai giornaloni del potere economico si ottiene l'immagine di una Chiesa ossequiosa ai poteri del secolo. Ma la Chiesa non è carne e spirito? Dove è finito lo spirito? Oltre ad un vescovo totalmente calato nel secolo, stupisce il richiamo alla sobrietà in tempo di festa. Gesù non è quello che moltiplica il vino alle nozze di Cana o quello che banchetta con i pubblicani? Se nell'Ultima Cena è stato benedetto il vino e non l'acqua un motivo ci sarà. Queste considerazioni  generali lasciano presto spazio al sospetto che il vescovo non abbia mai realizzato un presepe. Chi ha una pur minima esperienza nella realizzazione della sacra rappresentazione sa benissimo che gli elementi base sono muschio, sughero, sassi, rametti, scatole di cartone e similari. In Puglia, per esempio, per simulare le palme si usa una sorta di cipolla selvatica che ne ricorda la forma. Dove è la mancanza di sobrietà in questi poveri elementi? Qualcuno potrebbe obiettare che le statuine del presepe a volte sono vere e proprie opere d'arte dal costo di alcune centinaia di euro e anche più, ma ciò non impedisce l'uso di  soluzioni più povere fino all'uso della pasta di sale o di sagome di legno o cartone. Queste considerazioni ci permettono di aggiungere un altro elemento alla sobrietà del presepe che è il  valore della famiglia. Gli elementi durevoli del presepe si trasmettono di padre in figlio a testimonianza di un'unione familiare che va oltre il tempo e la stessa costruzione del presepe anche quando superba opera artistica coinvolge l'intera famiglia, con il compito di posizionare il Bambino affidato ai più piccoli. Il presepe rappresenta l'unione nel tempo e nello spazio, il riunirsi dei parenti, della famiglia. È frequente risparmiare tutto un anno per poter acquistare un singolo pezzo importante che andrà ad aggiungersi agli altri. Pezzi che poi finiranno ai figli che potranno continuare nella ricerca della statuina artigianale. Non mi sembra che il risparmio non sia buona cosa. La Chiesa, oltre ad essere la sposa di Cristo, è anche una famiglia e non fare il presepe è venir meno ai vincoli intergenerazionali e si può immaginare che la cattedrale di Rieti possegga dei pezzi antichi acquistati dai precedessori dell'attuale vescovo o donati da ormai ignoti fedeli. Inoltre vengono meno anche i legami familiari visto che il presepe di una cattedrale non crediamo sia opera di un singolo. Non c'è sobrietà in tutto questo? Ci si piega al secolo sperando di cogliere il fugace spirito del tempo dimentichi che il tempo della Chiesa è l'eternità.

domenica 4 novembre 2012

Riformare le pensioni è cosa buona e giusta



Pubblicato su Lo Spiffero il 7 settembre 2011

di Vito Foschi
 
Dopo l’ennesimo crollo della borsa con il differenziale fra Bund e Btp tornato ai massimi, il governo continua a rimaneggiare la finanziaria con interventi, i più vari, ma che ricordano il vecchio Visco. Fra le varie proposte, che si sono succedute nei giorni scorsi, c’è stata quella di rimettere mano alla riforma pensionistica al fine di anticiparne i tempi di attuazione, in modo tale da ottenere prima i risparmi previsti. Si sarebbe trattato, per esempio, di antipare ad oggi il requisito dei 65 anni per andare in pensione eliminando la gradualità esistente nella legge attuale. È un’idea con cui concordiamo e che avrebbe contribuito a rassicurare i mercati; porterebbe a un sicuro risparmio per le casse dello Stato ripetuto nel tempo e non una sola volta come il famigerato contributo di solidarietà o il condono. Proposta, peraltro, di facile attuazione e che non sarebbe andata a colpire i cittadini con nuove tasse e balzelli.
Al di là dei risparmi economici e della riduzione del debito pubblico, sarebbe stata anche, se il lettore vorrà perdonarci il linguaggio un po’ sindacale, anche una misura di equità. Infatti, chi oggi è relativamente giovane, andrà in pensione nelle migliori delle ipotesi a 65 anni con una pensione molto bassa, chi invece è avanti negli anni, può ancora andare in pensione prima dei 65 e con una pensione relativamente alta. Un’accelerazione della riforma ridurrebbe questa discriminazione basata sull’anno di nascita. Attualmente i conti dell’INPS appaiono in positivo grazie all’apporto dei precari, che versano dei contributi senza aver diritto a quasi nessuna prestazione: i soldi della cosiddetta gestione separata, ovvero dei precari, vanno a coprire i buchi delle altre gestioni.
Volendo fare i conti della serva, il sistema pensionistico trasferisce ricchezza dai precari a chi ha un posto fisso. Se vi sembra giusto questo.
Ricordiamo l’abolizione del cosiddetto scalone, ovvero l’innalzamento immediato a 60 anni al 31 dicembre 2007 dell’età per andare in pensione e costato secondo alcune stime 10 miliardi di euro. Fu attuato dal governo Prodi a scapito dei precari che si videro innalzati i contributi da versare sui contratti a progetto. Così i giovani si sono trovati una busta paga ridotta, per poter fare andare in pensione, uno o due anni prima, i genitori dotati di un super protetto contratto a tempo indeterminato.
La riforma pensionistica è sbilanciata nei confronti dei giovani che sono costretti quasi da soli a ripianare il deficit INPS, mentre chi è in pensione o è avanti negli anni è in qualche modo protetto, godendo ancora dei passati vantaggi. Riformare le pensioni non solo genera risparmi, ma è soprattutto un atto di giustizia nei confronti dei giovani.

sabato 22 settembre 2012

Il topolino bianco

La mia prima favola pubblicato sul sito http://www.favole.org/

 
di Vito Foschi
 

In una foresta abitava una famiglia di topolini. C’era la mamma Tipa, il padre Tipo, e sette fratellini. Era una famiglia di topini grigi, ma il più piccolo dei fratellini, che si chiamava Tipino, aveva il pelo bianco. Questo era una cosa veramente brutta per la famiglia dei topini. Quando andavano alla ricerca di semi nel prato, il colore bianco di Tipino si vedeva da molto lontano e la grande Aquila, scopriva subito i topini. La famiglia era riuscita a fuggire, ma Tipino non poteva più cercare il cibo insieme ai suoi fratellini e rimaneva chiuso nella tana. I fratellini lo prendevano in giro per questo e la mamma Tipa doveva consolare il povero Tipino che piangeva.

Un giorno Tipino prese coraggio è uscì dalla tana di notte al buio, quando la grande Aquila dorme. Aprì la porta e piano piano uscì fuori senza far rumore. Nessuno si accorse di niente. Tipino corse nel prato felice. Finalmente non correva pericolo. C’era la luna piena e riusciva anche a trovare del cibo. Ma il povero Tipino non sapeva che la notte è il regno della terribile Civetta, che con i suoi grandi occhioni riusciva a scoprire anche i più piccoli topolini anche di notte. Figurarsi Tipino con il suo pelo bianco! La Civetta scese in picchiata verso Tipino che mangiava i semini. Il piccolo topino aveva imparato ad essere attento e sentì il rumore delle ali della Civetta in tempo e corse nella sua tana, chiudendo la porta. La famiglia si svegliò e chiese a Topino cosa fosse successo. Topino piangeva e raccontò della Civetta. La mamma lo rimproverò perché era uscito senza avvisarla, ma poi cercò di consolarlo per il grande spavento.

I mesi passavano e per Tipino diventava sempre più noioso rimanere chiuso nella tana, con gli scherzi degli altri fratellini. Ma arrivò l’inverno e un bel giorno nevicò fitto fitto. Tutto il paesaggio era cambiato. Non c’era più il verde del prato, il rosso e il giallo dei fiori, il marrone della terra: c’era solo bianco. Ovunque! La famiglia uscì come al suo solito per cercare i semini, ma questa volta il grigio del loro pelo si vedeva benissimo sulla neve bianca. La grande Aquila attaccò la famiglia dei topini che incominciò a correre verso la tana gridando a più non posso. Tipino si affacciò alla finestra e vide la famiglia in pericolo. Senza pensarci due volte uscì dalla tana e corse incontro alla famiglia in fuga. Con sua grande sorpresa si accorse che il suo pelo era dello stesso colore della neve. Era finalmente diventato invisibile agli occhi della grande Aquila. Sua sorella Tipa era rimasta indietro e stava per essere raggiunta dalla Grande Aquila. Tipino corse a più non posso e nascose sua sorella sotto di sé. L’Aquila vide sparire il topolino senza capire cosa fosse successo e salì in alto per vedere meglio. A quel punto Tipino e Tipa corsero più in fretta che potevano fino alla tana dove li aspettava il resto della famiglia. La paura fa diventare anche i piedini più piccoli molto veloci!

Tutti festeggiarono Tipino e i suoi fratelli smisero di prenderlo in giro e anzi lo elogiavano per il suo grande coraggio. Per quell’inverno e per tutti quelli a venire Tipino con il suo pelo bianco usciva a procurare il cibo e la famiglia rimaneva nella tana. L’estate Tipino rimaneva in casa e i fratellini cercavano i semini e così nessuno correva pericoli e vissero felici per tanti anni nella foresta.

lunedì 10 settembre 2012

Giochi Benefici

di Vito Foschi
pubblicato su Il Genio Quotidiano il 28 aprile 2012

Vi presentiamo un libro  un po’ curioso, un misto fra giochi matematici e Trivial Pursuit, “Game Almanac 2012 for Causes”. L’autore e' Carmine Covino, giovane informatico nato in provincia di Avellino, con varie esperienze all’estero, ma ormai da anni stabilitosi in Lombardia. Il libro è scritto in inglese per una precisa scelta dell'autore per indirizzarlo al pubblico più vasto possibile, perché la molla della scrittura del libro è stata quella di aiutare gli altri. Infatti, un terzo dei diritti finirà ad associazioni per la ricerca e cura del cancro e ciò in memoria del padre morto di tale male.

Il libro può essere facilmente apprezzato anche da un italiano perchè i giochi matematici risultano facilmente comprensibili, mentre necessita un minimo di conoscenza della lingua inglese la seconda parte dei quiz che affascinano per le rarità storiche e geografiche scovate dall’autore. L’insaziabile curiosità dell’autore con il suo peregrinare in maniera apperentemente casuale è fonte sicura di scoperte di gustosi aneddoti storici e di stranezze scientifiche.

Particolare è anche la parte dei giochi matematici che presenta giochi di nuova invenzione basate su meccanismi simili al Sodoku e del calcolo binario. Un buon modo per passare qualche ora in maniera intelligente.


 
 
 

giovedì 30 agosto 2012

Un episodio poco noto delta Rivoluzione Francese, genocidio di una regione ricca e popolosa: la Vandea

pubblicato su Archeologia & Cultura n. 7 del 4 aprile 2010, inserto culturale del quotidiano La Voce di Cerveteri e ripubblicato sul sito Storia Libera

 
di Vito Foschi

La Vandea è un dipartimento della Francia che in passato risultava più esteso includendo parte dei dipartimenti vicini. Tale regione è nota perché teatro di un episodio importante, ma poco diffuso della rivoluzione francese. Normalmente la storia viene spiegata come un dipanarsi di una matassa da un inizio ad una fine in maniera progressiva senza deviazioni o salti all’indietro, eccetto forse per il Medioevo. Naturalmente le cose non stanno così e solo per esigenze di semplificazione scolastica viene raccontata in questo modo. Mediamente il racconto della Rivoluzione Francese vede la semplificazione di un popolo in rivolta contro un sovrano, ma le cose non sono proprio così a meno di dimenticare episodi piuttosto importanti. Il più rilevante di questi, quello che sinteticamente viene chiamato con il nome della regione da dove ha origine è la: Vandea. Questo articolo metterà in evidenza la genesi degli eventi e alcuni aspetti, evitando di annoiare il lettore con il racconto dell’interezza delle operazioni militari.

La Vandea era una regione ricca e popolosa prevalentemente agricola della Francia in cui il senso religioso era molto forte. La Repubblica Rivoluzionaria stretta da esigenze economiche e dominata da correnti anticlericali espropriò i beni ecclesiastici che costituivano non solo una ricchezza a disposizione del clero, ma anche dei cittadini e creò un clero di stato autonomo da Roma; altro provvedimento non gradito fu la leva obbligatoria, a cui tutti cercavano di sottrarsi. Tali leggi erano  osteggiate in particolare dalla popolazione della Vandea che vedeva secolari tradizioni infrante e violentato il suo senso religioso. Da qui nacque una serie di guerre fra la popolazione vandeana e la Repubblica Francese.

Per attenersi al racconto lineare della storia, le guerre vandeane sono state spesso denominate “controrivoluzione” visto che si opponevano alla rivoluzione, mentre altri storici volendo mettere in evidenza la spontaneità del fenomeno hanno coniato un nuovo termine, insorgenza, in contrasto con i termini rivolta o rivoluzione che implicano comunque un che di guidato o di organizzato.

In Vandea l’opposizione alla Rivoluzione non nasce per motivi politici, ma spontaneamente nel cuore delle persone per semplice reazione a quelli che considerava veri e propri soprusi come la leva obbligatoria e la proibizione dei riti religiosi. Come se da un giorno all'altro ci proibissero di fare quello che abbiamo sempre fatto. Chiaramente accettare che la guerra della Vandea sia stata una insorgenza, significa smontare l’assunto che la Rivoluzione sia stato un moto di popolo contro il sovrano.

A parte l'interesse per un fatto misconosciuto della Rivoluzione Francese, è interessante che questo conflitto è sfociato in un vero e proprio massacro della popolazione civile compresi donne e bambini. La Repubblica Francese, dopo una fase indicata come prima guerra di Vandea, dette l’incarico a Jean Baptiste Carrier di istituire un tribunale rivoluzionario che per eseguire le migliaia di condanne a morte dei vandeani inventò le Noyades ovvero annegamenti. I condannati, uomini, donne, bambini venivano legati e messi su barche che venivano fatte affondare. Ad un certo punto si decise di affogarli anche nudi per recuperare i vestiti. Oltre alla brutalità, si raggiunse il più totale disprezzo della vita umana quando vennero legati i bambini alle madri e fatti affogare insieme. Per accelerare le esecuzioni si provò prima con il veleno e poi con le fumigazioni, una sorta di camere a gas. Da ricordare che la violenza rivoluzionaria era rivolta verso la propria stessa popolazione e non verso un nemico esterno.

Accanto al tribunale rivoluzionario la giovane repubblica francese approvò l’idea del generale Louis Marie Turreau di istituire le cosiddette "Colonne infernali", dividendo l'esercito rivoluzionario mandato a domare la rivolta in colonne, per battere la Vandea in lungo e in largo con il compito di distruggere tutto e uccidere tutti senza distinzione di età o di sesso. Gli episodi raccapriccianti furono molteplici. I militari si diedero allo stupro e al saccheggio, mutilando le persone prima di ucciderle e per fare prima furono bruciati interi edifici per sterminare le persone all'interno, compresi ospedali per far fuori anche gli ammalati fino ad arrivare al caso più raccapricciante di militari rivoluzionari che conciarono pelle umana.

Alcuni storici hanno proposto di definire questo episodio con il termine genocidio e di considerarlo il primo della storia moderna.  Qui si sono accese le polveri delle polemiche perché chiaramente per la Francia la Rivoluzione è episodio fondante. Tra l'altro nella Rivoluzione Francese nasce la modernità e i prodromi delle moderne ideologie e accettare che il primo genocidio sia stato quello della Vandea, significherebbe ammettere che le ideologie del '900 che hanno creato tanto tragedie sono figlie della rivoluzione francese. Prospettiva agghiacciante per i nostri cugini francesi.