mercoledì 12 febbraio 2014

Piccolo Manuale della Libertà - Il mio primo libro

Con immenso piacere vi annuncio l'uscita del mio primo libero che si occupa di divulgare un po' di idee sulla libertà. Vi invito a comprare più copie così da pogerle regalare ad amici e parenti. Per ogni vopia venduta un euro andrà al Tea Party Italia. Eccovi il link:

http://leolibri.it/content/piccolo-manuale-della-libert%C3%A0

E una breve presentazione:


Questo libro è un esempio di divulgazione che riesce a tenere insieme approfondimento, rigore, semplicità e concretezza. L’autore non si tira indietro, da una parte, rispetto a tematiche economiche ed etiche complesse, usando dall’altra sempre esempi quotidiani, concreti, comprensibili a tutti, in molti casi anche estremamente divertenti e leggeri.Il primo impatto del lettore con le tematiche della libertà economica, del mercato, della concorrenza, dell’importanza dei diritti di proprietà, è quanto di più “soft” e meno traumatico si possa immaginare: l’autore fa iniziare infatti questo viaggio con un excursus tra “favole moderne”: film per famiglie, serie tv di culto, addirittura cartoni animati. Come spiega lui stesso: “Non c’è nessuna forma di snobismo alla rovescia, ma solo un’osservazione pratica. Per quanto si possa fare alta teoria, liberalismo e libertarismo sono dottrine dettate dal buon senso. Alla fine trovano la loro vera ragion d’essere nella realtà. E la realtà la capiscono tutti, come un film di Bud Spencer e Terence Hill.”

domenica 9 febbraio 2014

Il vizio dello sperpero


(pubblicato sul Legno Storto del 10 novembre 2011 e su Lo Spiffero)

di Vito Foschi

In questi giorni convulsi con un governo dimissionario e lo spread alle stelle si riaffaccia prepotente l’ipotesi di una patrimoniale per poter sanare l’annoso problema del debito pubblico. Decisione che si vuole affidare ad un qualche governo d’emergenza tecnico o istituzionale per svincolare i partiti che non si riterrebbero responsabili della rapina degli italiani. Sinceramente riesce difficile capire il vantaggio di una misura tampone come la patrimoniale, abbiamo avuto quella del governo Amato, ma non ha portato molto fortuna. Sono passati meno di venti anni, ma il problema non è cambiato. Il debito pubblico non è la causa dei problemi, ma la conseguenza più evidente del vero problema italiano: la spesa pubblica. E lì che si annidano i problemi dell’Italia sia in termini quantitativi che qualitativi.
Voi paghereste i debiti di chi ha il vizio del gioco? Sicuramente no o meglio sareste disposti a farlo solo dopo che vi foste assicurati che il giocatore abbia perso il vizio. È evidente che continuando a giocare il debito si riformerebbe in brevissimo tempo, anzi più velocemente di prima, tanto c’è qualcuno che paga. Oltre il danno la beffa. Per il giocatore incallito il pagamento dei debiti non sarebbe altro che un ulteriore incentivo a sperperare. Trovereste il tutto decisamente ingiusto. Ebbene, la situazione dello stato italiano è esattamente come quella della persona dominata dal vizio del gioco. La patrimoniale abbatterebbe il debito, dando un po’ di respiro ai conti dello stato, ma in breve tempo tornerebbero alla situazione attuale con il debito alle stelle. Il problema da cui nasce il debito, come detto, è la spesa pubblica. L’abbattimento del debito sarebbe un incentivo ad aumentarla e non a diminuirla. Non dimentichiamo che l’altra faccia della spesa pubblica è il prelievo fiscale. Visto che i soldi non crescono sugli alberi, come sanno anche i bambini che hanno letto Pinocchio, le spese dello stato non sono altro che i soldi prelevati coattivamente dalle tasche dei cittadini. Questo è il primo danno di una spesa pubblica fuori controllo, la compressione della capacità di spesa e risparmio del cittadino a favore dell’entità statale.
Quello che dovrebbe fare un qualsiasi governo in carica è abbattere la spesa pubblica, prima di pensare alla patrimoniale. L’altro danno di una spesa pubblica fuori controllo è quello che abbiamo indicato come aspetto qualitativo. La spesa pubblica oltre a sottrarre ingenti risorse dai redditi dei cittadini, distorce le scelte degli operatori economici causando un’allocazione non ottimale delle risorse economiche. Detto in altri termini, se un imprenditore sa che potrà guadagnare un sacco di soldi vincendo un appalto pubblico, si occuperà di quello e non di creare un impresa che stia sul mercato. E non nascondendoci dietro ad un dito, quella spesa genera corruzione e malaffare. Come speriamo di competere sui mercati internazionali, se i nostri imprenditori sono più impegnati a intercettare qualche rigagnolo di soldi pubblici, che a lavorare per rendere produttiva l’impresa? Ma non solo la corruzione. Lo stato per spendere i soldi devo crearsi una qualche giustificazione e quindi deve creare una legislazione apposita. Più leggi, più si ingessa il mercato, più si complica la vita del cittadino. Si creano uffici inutili, con personale inutile a cui bisogna inventare qualcosa da fare e così si crea un qualche modulo da far compilare al suddito-cittadino. Alla fine il cittadino paga per essere vessato dallo stato. E da lì che bisogna partire per abbattere la mostruosità del debito pubblico. Riducendo la spesa pubblica, si potrà ripagare il debito accumulato e in più si darà slancio all’economia perché si semplificherà la vita di imprese e cittadini. Gli imprenditori dovranno tornare a occuparsi delle loro imprese, invece che di preoccuparsi di come intercettare denari pubblici. A quel punto si potrebbe anche pensare a ridurre finalmente le tasse che sarebbe il miglior modo di aiutare i cittadini.
Qualcuno potrebbe pensare ad un discorso troppo teorico, ma si possono tranquillamente indicare alcuni provvedimenti concreti quali l’abolizione di province e circoscrizioni, riduzione del numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali e comunali, abolizione di qualsiasi forma di incentivo sia fiscale che finanziario alle imprese compresi gli incentivi alle rinnovabili, affidamento a privati dei servizi pubblici locali, liberalizzazione di ferrovie e trasporto locale, abolizione degli ordini professionali e privatizzazione delle relative casse di previdenza, privatizzazione di INPS ed INAIL e così via. Senza parlare dei tanti enti inutili. È sufficiente spulciare l’elenco di nomine pubbliche di regioni, province e dei comuni sufficientemente grandi per trovare di tutto. Dall’ente per la tutela di qualche specialità gastronomica, all’associazione per lo sviluppo tecnologico il cui unico compito è scrivere un paio di relazione all’anno, a quella per la tutela di non si sa bene che cosa. Tutti organismi che hanno una sede, una segreteria e degli amministratori retribuiti. Organismi che non si sa bene cosa facciamo, ma senza giri di parole, servono sicuramente ad accontentare il politico che non ce l’ha fatta o il supporter che ha portato voti.

sabato 1 febbraio 2014

Il massacro di Katyń


Pubblicato su Archeologia & Cultura del 25 settembre 2011

di Vito Foschi

La località di Katyń è attualmente nota al grande pubblico per l’incidente aereo in cui hanno perso la vita il presidente della Polonia insieme a ministri e parlamentari, ma pochi sanno il motivo per cui il cospicuo gruppo di  politici si recava in tale luogo.
Katyń è una foresta nei pressi di Smolensk, in Russia, scenario di un cruento fatto di sangue: qui all’inizio del 1940 furono uccisi e seppelliti circa 22000 militari polacchi, prigionieri sovietici dopo la spartizione della Polonia fra Germania nazista e Unione Sovietica. La Polonia, fu il classico vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. I sovietici con il massacro speravano di eliminare in un colpo solo la classe dirigente polacca, la gran parte erano ufficiali della riserva che nella vita erano professionisti, dirigenti, intellettuali, attuando una sorta di pulizia di classe. Ma al di là della crudeltà del massacro, si istituì una squadra di massacratori professionisti addestrata per uccidere le persone con un singolo colpo di pistola in una precisa zona della nuca, quello da raccontare è il velo di oblio che calò sulla tragedia in seguito al ritrovamento delle fosse comuni.
Nel 1941 in seguito all’attacco tedesco all’Unione Sovietica, polacchi e russi non erano più nemici, ma alleati e in questo nuovo quadro il generale Anders cercò di informarsi dei suoi commilitoni prigionieri in Russia, anche nell’ottica di formare un esercito polacco da affiancare agli alleati. Le risposte di Mosca furono evasive, non potendo ammettere il massacro. Nel 1943, i tedeschi, in seguito all’invasione dell’Urss scoprirono le fossi comuni; fino ad allora non si conosceva il destino dei militari polacchi prigionieri in Russia. Da quel momento si tentò di insabbiare tutto.
I tedeschi cercarono di formare una commissione d’inchiesta internazionale, ma gli alleati per non irritare l’alleato sovietico si opposero. Allora i nazisti formarono una commissione come poterono, coinvolgendo la Croce Rossa ed appurarono le colpe dell’Urss. Gli alleati continuarono a negare l’evidenza.
Al di là del fatto contingente di non irritare un alleato, la faccenda si colorì di sfumature ideologiche. Per motivare l’opinione pubblica si era dipinto il nazismo come il male assoluto; cosa sarebbe successo se si fosse scoperto che l’alleato sovietico agiva come né più né meno dei nazisti?
Indubbiamente era necessario mantenere l’alleanza per sconfiggere i tedeschi, ma come era necessaria l’Unione Sovietica per gli Alleati, altrettanto importante erano per i sovietici gli Alleati in particolare per la fornitura di viveri e di armi. Forse un qualche spazio di manovra poteva esserci,  però gli Alleati preferirono tacere.
Il comportamento di Churchill fu dettato da semplice pragmatismo, anche se dopo la guerra non essendo più primo ministro ed iniziata la guerra fredda poteva sicuramente in una delle sue tante conferenze parlarne. Forse il silenzio fu dettato dal voler nascondere un episodio di cui sicuramente non era fiero, mentre merita particolare attenzione il comportamento di Roosevelt.
Il presidente statunitense ebbe un atteggiamento di accondiscendenza verso Stalin, perché immaginava l’Unione Sovietica avviata verso un’evoluzione democratica in ciò influenzato da molti suoi collaboratori di area liberal che nutrivano simpatia per il comunismo. Inoltre, immaginava un dopoguerra bipolare in cui l’egemonia sarebbe stata spartita fra Stati Uniti e Unione Sovietica con il Regno Unito relegato fra i le nazioni di second’ordine. Il massacro di Katyń in questa ottica diventava un incidente di percorso che non influiva sull’apparente traiettoria democratica intrapresa dalla Russia, che nasceva da una rivoluzione come gli USA al contrario degli altri stati europei. Questo abbaglio ideologico finì per convincere gli statunitensi a tacere sul massacro.
Addirittura, ci fu un tentativo da parte dei sovietici, nel processo di Norimberga, di addossarne le colpe ai nazisti, ma di fronte all’evidenza furono costretti a ritirare le accuse. Negli Stati Uniti ci fu un inchiesta del Congresso negli anni ’50, ma il tutto si arenò per motivi di politica internazionale, quando si doveva firmare l’armistizio della guerra di Corea e non era il caso di inasprire gli animi. L’Unione Sovietica ha continuato a negare l’evidenza anche in seguito fino alla svolta di pochi anni fa con Gorbaciov e Eltsin che hanno ammesso la responsabilità sovietiche a distanza di 50 anni.
C’è anche un risvolto italiano, a dir poco disdicevole della faccenda. Della commissione internazionale istituita dai nazisti faceva parte un italiano, il professor Vincenzo Palmieri, direttore dell’istituto di medicina legale dell'Università di Napoli, che non poté che appurare le evidenti responsabilità sovietiche. Nell’immediato dopoguerra fu perseguitato dal Partito Comunista Italiano che agiva, consentitemi l’espressione di sapore giuridico, in nome e per conto dell’Unione Sovietica. Il professore Palmieri veniva contestato a lezione, accusato di essere un nazista e addirittura alcuni colleghi giunsero a chiederne l’allontanamento.