venerdì 30 maggio 2014

Due commenti al "Piccolo Manuale della Libertà"

"Una chicca. Una serie di brevi capitoli trattano i tanti temi attorno alla libertà in modo rapido e piacevole. Finito un capitolo si passa al successivo con la curiosità di vedere cosa c’azzeccano con la libertà Bud Spencer e Terence Hill, alcuni vecchi serial televisivi , Pippi Calzelunghe. Anche gli ambiti più classici per analizzare il tema della libertà quali il cristianesimo, la “legge” e l’etica sociale, l’ecologia (le risorse della terra) sono affrontati con brevi capitoletti pieni di osservazioni precise e efficaci. Credo veramente che nessuno abbia il diritto di privarsi di un paio d’ore di questa stimolante lettura"


Ettore Malpezzi (autore di Padri di una Patria)

"L'aperilibro del Club di Creativi non è mai banale e non è mai pesante ... ma poter pensare che si potesse parlare di politica, società e civiltà passando dai film di Bud Spencer a quello di Don Camillo e Peppone con strette relazioni con Bibbia e Vangelo fino ai cartoni animati mi sembra tuttora incredibile ... per cui un immenso applauso a Michele Fossati che nel suo giorno del compleanno ci ha fatto conoscere Vito Foschi l'autore di cotanta opera che si può scaricare da internet"

Marco Barbagelata proprietario dell'Ovocenter di Novi Ligure

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giovedì 22 maggio 2014

Gli illusionisti della politica



Pubblicato su “Il legno Storto” del 7 settembre 2011

di Vito Foschi

Da un po’ di tempo si fa un gran parlare dei costi della politica e ci permettiamo una considerazione in qualche modo tecnica e una provocazione. Molte delle proposte si concentrano sulla riduzione di qualche voce di costo, con qualche aneddoto poco edificante come la spigola offerta al prezzo di una portata da mensa aziendale. Lo svantaggio di tutte queste iniziative è che semplicemente non risolvono il problema. Sono un utile diversivo, un modo per dare un contentino ai cittadini, ma senza intaccare il grosso della spesa. Questo avviene per un semplice e banale motivo che si spiega con un esempio: ridurre del 10% una voce di costo pari al 10% del totale del bilancio, significa ridurre i costi dell’1%. Il 10% del 10% è proprio l’1%. Cambiando le percentuali il risultato non cambia di molto. Anche riducendo del 10% il 50% del bilancio totale, si riduce la spesa totale del solo 5%. Altro esempio: ridurre del 50%, evidentemente una percentuale importante, una voce di spesa pari al 10% totale, significa sempre ridurre la spesa totale del 5%. Capite bene, che queste percentuali abilmente comunicate, possono far credere che ci siano dei tagli drastici. Immaginate la riduzione del 50% dei costi di ristorazione. Sembra tanto, ma di fatto la riduzione complessiva è ben modesta. L’unico modo per ridurre i costi della politica, a parte il tagliare un po’ di teste come starà pensando qualche lettore, è la drastica riduzione del numero dei politici, dai parlamentari fino più giù, ai consiglieri di circoscrizione. Immagino per i parlamentari una riduzione di almeno il 50%,  con una vera riduzione dei costi e con altri benefici effetti collaterali. Per amore di precisione la riduzione dei parlamentari dai 945 a circa 480 non comporterebbe un’automatica riduzione del 50% del costo totale, ma di meno, per ovvie spese generali che non diminuiranno e perché molti impiegati ormai diventati inutili non saranno messi subito sul lastrico. Oltre a questo taglio, si dovrebbe procedere comunque all’eliminazione di quelle voci odiose che fanno giustamente incavolare i cittadini. In tutta onestà, alcune cose non si riescono proprio a capire. Per esempio, è facile capire le agevolazioni per i trasporti perché si spera che ogni tanto l’onorevole o il senatore si sposti da Roma e torni nel collegio di elezione per mantenere il tanto decantato contatto con il territorio. Altre cose non si capiscono, come per esempio l’avere a disposizione un ristorante. A che serve? Non ci sono ristoranti o tavole calde nei pressi di Camera e Senato?
Oltre alla riduzione dei costi, ci sarebbe un ulteriore e non trascurabile vantaggio che molti non considerano. Con il dimezzamento del numero dei parlamentari si può sperare in una maggiore efficienza dei processi decisionali con la riduzione del problema dei cosiddetti peones, ovvero dei parlamentari sconosciuti o quasi senza un preciso ruolo che vanno a costituire una sorta di parco buoi non sempre docile ai voleri dei maggiorenti dei partiti. La gran parte del lavoro si fa in commissione, e chi non ne fa parte, sostanzialmente, si trova tagliato fuori dai giochi. Se consideriamo gli avvenimenti politici dell’ultimo anno con la migrazione di tanti parlamentari da un gruppo ad un altro, potete ben capire che riducendosi il numero, questi episodi diventano meno consistenti. Qualunque cosa si possa pensare delle “migrazioni parlamentari”, bisogna ammettere che si tratta di un modo come un altro per cercare visibilità da parte dei peones. Prima del 14 dicembre chi conosceva il roboante On. Scilipoti? Se eliminiamo 500 parlamentari quante migrazioni ci possono essere? Ma non solo. Il problema è molto più semplice. Meno persone ci sono, più è facile coinvolgerle nei processi decisionali riducendo il numero degli esclusi, che a volte si vendicano trasformandosi in “franchi tiratori”.
Riassumendo le varie considerazioni, la riduzione dei parlamentari è l’unico modo per ridurre in maniera sensibile i costi del Parlamento con un suo conseguente migliore funzionamento.
Chiudiamo con una provocazione. È proprio opportuno ridurre le prebende dei parlamentari? Preciso che non parlo dei privilegi smaccatamente ingiusti, ma del semplice stipendio. Normalmente le aziende private si disputano i manager migliori o presunti tali, a suon di aumenti di stipendi o bonus vari, senza arrivare all’esempio dei calciatori dove i campioni vanno letteralmente all’asta. Diminuire lo stipendio dei politici può attrarre i migliori? Certo non è un lavoro come un altro, ma razionalmente si può pensare di fare il parlamentare per 1500-2000 euro al mese? Chi si trasferirebbe a Roma per quella cifra e per pochi anni? Ci sono disoccupati che preferiscono rimanere nel loro stato pur di non cambiare città. Certo, bisogna riconoscere che nonostante gli attuali forti incentivi non sempre sono stati i migliori ad essere selezionati, anzi il panorama odierno sembra mostrare che la selezione in politica funzioni al contrario: non viene premiato il merito, ma il suo contrario. Stando così le cose, domando, una riduzione degli stipendi potrà migliorare la situazione o peggiorarla? E la carriera politica potrà non attrarre i senza scrupoli interessanti più al potere di intermediazione della stato e non alla buona amministrazione?

lunedì 12 maggio 2014

Tornare ad occuparsi della realtà: articolo 18 e partite IVA fittizie



Un mio vecchio articolo pubblicato su Lo Spiffero del 11 Maggio 2012 (http://www.lospiffero.com/ballatoio_stampa_432.html)


Quando la scorsa estate si ventilava il superamento dell’articolo 18, avevamo scritto di come i sindacati pensano ed agiscono come se vivessero in un mondo parallelo che in nulla coincide con la realtà. Ora abbiamo la cosidetta riforma del ministro Fornero che si pone nella stessa linea di irrealtà. A parte il pasticcio sul famigerato articolo 18 che francamente troviamo assurdo, la legge sulle partite IVA fittizie è veramente qualcosa di incredibile: può essere pensata solo da chi non conosce il mondo del lavoro.
Bisogna precisare, innanzitutto, che l’articolo 18 si applica alle imprese con più di 15 dipendenti e già questo non si capisce: il lavoratore della piccola impresa è un cittadino di serie b? In Italia patria delle piccole imprese, il famoso articolo si applica a ben poche persone e nella pratica ancora meno di quanto dicono le statistiche. Le grandi aziende in realtà non hanno problemi ad attuare licenziamenti di massa. Vi dice niente la parola esodati? Rimanendo nella cronaca locale, Intesa San Paolo ha mandato via un bel pò di dipendenti senza tanti problemi. Lo stesso De Benedetti ha dichiarato di non aver avuto problemi a licenziare. Facendo due conti, l’articolo 18 si applica alle medie imprese non sufficientemente grandi da aver un forte potere contrattuale. Tutto questo baillame per una percentuale minima dei lavoratori? E poi perchè le medie imprese debbono avere una legge diversa dalle altre? Sarà questo uno dei motivi che impediscono alle imprese di diventari grandi? Ciò può spiegare perchè alle grandi imprese non interessa molto dell’articolo 18; spiega perchè sia stato possibile un accordo fra Confindustria e i sindacati per sterilizzare l’articolo 8 della finanziaria del precedente governo che in qualche modo superava il blocco dei licenziamenti. In fondo, alle grandi imprese, fa comodo che alle medie venga impedito di crescere, in modo da non avere concorrenti.
Tornando alle partite IVA fittizie, trovandomi in quelle condizioni, un brivido mi ha percorso la schiena. Fortunatamente fra i tanti errori che si commettono nella vita mi ritrovo iscritto ad un ordine e la riforma non riguarda i professionisti e ho tirato un sospiro di sollievo. Qualcuno si chiederà se sono impazzito a preferire la precarietà alla stabilità. Purtroppo solo chi non conosce la realtà può pensare che una simile riforma possa portare alla stabilizzazione dei precari. Nella realtà ci sono imprese senza dipendenti e con soli collaboratori a partita IVA ed a progetto. Si può ragionevolmente pensare che una ditta possa assumere decine di dipendenti in un botto? O che grosse aziende che subappaltano il lavoro a microimprese abbiamo problemi a fare girare i fornitori di sei mesi in sei mesi? Solo se vogliamo credere alle favole possiamo pensare ciò. Tra l’altro, esistendo il subappalto del subappalto, è sufficiente far roteare gli ultimi anelli della catena per rispettare formalmente la legge e il collaboratore continuerà a svolgere lo stesso lavoro per anni. Il cliente finale chiaramente non si accorge di nulla e vede solo che la persona che desidera è sempre dove vuole lui. In più, in alcuni campi come quello informatico effettivamente si lavora su progetti eccetto per la manutenzione di applicativi esistenti. Fra i miei colleghi la paura è stata di diventare ancora più precari: finora si poteva sperare in contratti annuali, ora grazie alla Fornero non si può sperare oltre i sei mesi. Considerato che i contributi sui contratti a progetto sono maggiori potrebbe sembrare un modo surrettizio di trasformare le partite IVA in contratti a progetto per incrementare le entrate contributive e tenere in sesto i bilanci dell’INPS.
Tra gli effetti non desiderati, chi si trova ad iscritto ad un ordine, non sottostando alle nuove norme capestro, potrebbe acquisire un vantaggio su tutti gli altri lavoratori. Le aziende preferiranno un iscritto, che possono utilizzare senza il rischio di doverlo assumerlo, rispetto ai non iscritti. È giusto e desiderabile? Non è una distorsione del mercato? Con tutta sincerità al prossimo colloquio lo farà pesare. Non mi sembra giusto anche se mi agevola.
Come liberale vorrei che gli Stati si occuppassero di giustizia, esercito, polizia e in maniera limitata di opere pubbliche, purtroppo, invece, politici, sindacalisti e affini si intromettono pesantemente nelle nostre vite. Dato che ciò dembra inevitabile è lecito pretendere che conoscano la realtà di ciò che si occupano? Conoscere per deliberare diceva un famoso piemontese e non deliberare per conoscere.