martedì 25 agosto 2015

Una nuova agenzia immobiliare in città: il Comune

un mio vecchio articolo pubblicato su Elzivirista nell'ormai lontano gennaio 2012

di Vito Foschi

A chi avesse avuto la ventura di passeggiare per Torino qualche mese fa, non avrebbe potuto non notare un manifesto che offriva dei locali commerciali in affitto; nulla di strano, se non fosse che il locatore era il Comune. Siamo abituati allo strabordare delle funzioni delle amministrazioni pubbliche, ma che un Comune si metta a fare l’agente immobiliare sembra un po’ fuori luogo. Può sembrare normale che un comune affitti dei locali commerciali, perché è giusto e conveniente che non rimangano sfitti, però le domande da porsi sono: il Comune è in grado di gestire con efficienza la locazione di locali commerciali? Perché il Comune dovrebbe svolgere un’attività tipica dei privati? Perché il Comune possiede degli immobili non funzionali alla sua attività?
Dal punto di vista economico viene sempre suggerito di concentrarsi sulle cose che si riesce a fare meglio e di affidare il resto ad altri più capaci. Dubitiamo delle capacità immobiliari del Comune visto che anche nelle funzioni istituzionali non eccelle. Ma oltre alle considerazioni di efficienza economica, quello che non si capisce è perché il comune debba fare l’agente immobiliare. Noi cittadini abbiamo delegato il Comune a ciò? O più semplicemente ci interessa che faccia funzionare bene anagrafe, garantisca la pulizia pubblica, strade senza buche e così via. Invece il Comune che fa? Si mette ad affittare dei locali commerciali. Ma c’è il privato per questo.
Oltre ad andare molto al di là dei compiti istituzionali tipici di un comune, si può ragionevolmente temere che la locazione di questi immobili sia un’ulteriore tentazione di corruzione per politici e funzionari pubblici: è l’occasione a fare l’uomo ladro. I privati ci mettono del loro e possono fare quello che vogliono con i loro soldi, mentre le risorse del Comune sono soldi che vengono fuori dalle nostre tasche e non devono essere sprecati o servire ad attività che nulla hanno a che fare con un’amministrazione pubblica.
Nel rendiconto del 2009, gli immobili comunali ammontano a circa 2,3 miliardi di euro al netto degli ammortamenti di cui 1,2 dichiarati indisponibili, quindi dedicati all’attività istituzionali, tipo scuole o uffici comunali e cerca 630 milioni dichiarati disponibili, ovvero liberamente vendibili. Un patrimonio ragguardevole sotto ogni punto di vista. Sempre dal bilancio del 2009, i fitti attivi sono pari a 7 milioni di euro, pari ad un rendimento dell’1,1% circa: ben misero.
Per far fronte all’ingente mole di debiti il Comune ha incominciato un processo di alienazione di immobili pregiati, i cosiddetti gioielli di famiglia. Ne “Il Sole 24 Ore” del 12 luglio 2011, per esempio. potete trovare un avviso d’asta per alcuni di questi immobili. Il lato positivo dei debiti è che costringono a razionalizzare le attività e tagliare i costi. Quello che è rimasto in dotazione al comune di Torino sono immobili molto variegati, da interi condomini a singoli appartamenti di pregio, a locali commerciali di varie dimensioni, tra cui alcuni posizionati in zone strategiche come la centralissima via Garibaldi. In quest’ultimo caso l’affitto di mercato è molto alto e qualcuno potrebbe pensare che è meglio non vendere tale immobile perché il rendimento è maggiore del risparmio in interessi che si potrebbe ottenere rimborsando una parte di debiti con il ricavato della vendita. Premesso che si tratta di un caso particolare e riguardante una piccolissima parte degli immobili comunali, ci torniamo a chiedere se il Comune è in grado di gestire con efficienza le locazioni e cosa più importante se è delegato dai cittadini per essere una società di gestione immobiliare o per occuparsi di servizi pubblici.
Un settimanale cittadino (Però del 24 luglio 2011) ci informa dei valori ridicoli a cui sono affittati alcuni di questi immobili. Ci sono appartamenti affittati da poche decine di euro fino a folle cifre di poco superiori a 100 euro e si parla di appartamenti affittati a prezzi di “mercato” non di edilizia popolare. Potete immaginare bene che l’affitto di un appartamento in una città come Torino sia un multiplo di almeno 10 delle cifre sopradette.
Un esempio della varietà e scarsa attenzione alla loro valorizzazione ci è dato dalla deliberazione del 12/04/2011, n. mecc. 2011 02055/131 che concede degli immobili a delle associazioni. Si notano degli immobili di 25 mq che non si capisce bene cosa stiano a fare nel bilancio comunale. Tra l’altro c’è ne uno in corso Spezia, zona mercatale, vicino agli ospedali e recentemente dotata di una stazione della metropolitana, quindi zona di pregio. Non sappiamo in che condizioni sia e di che  tipo sia, ma potrebbe facilmente essere alienato ad un prezzo congruo. Non si capisce come il Comune di Torino possa gestire in maniera efficiente un patrimonio immobiliare così frammentato. Possedere pochi edifici di grande dimensioni è sicuramente più economico che gestire centinaia di piccoli immobili, in alcuni casi destinati per dimensione e posizionamento a non essere usati o affidati a terzi. Sicuramente in 25 metri quadri è molto difficile piazzare un ufficio pubblico. Tutti questi immobili inutili ai fini istituzionali dovrebbero essere ceduti e con il ricavato ripagare parte dei debiti. Senza voler affrontare il discorso dei sussidi ad associazioni e fondazioni, è piuttosto evidente che gli spazi da cedere alle associazioni non mancano. Per esempio c’è tutta l’area dell’ex villaggio olimpico in gran parte vuota. Un censimento e un’alienazione di tanti immobili inutili potrebbe permettere non solo di ridurre il debito, ma di conseguire una maggiore efficienza nella gestione e una riduzione degli spazi per la corruzione, ma forse è proprio quest’ultimo problema che non si vuole risolvere.
In conclusione non c’è nessuna motivazione logica per cui il comune debba essere un’agenzia immobiliare.

lunedì 10 agosto 2015

Il sistema pensionistico italiano

Persone più o meno giovani, con un lavoro più o meno precario, pagano fior di contributi per una pensione che non avranno, ma garantendo una pensione più o meno dignitosa ai propri genitori. Genitori che in molti casi avranno una casa di proprietà e soldi da parte e che mossi a pietà aiuteranno economicamente i figli precari. Dato che ogni passaggio ha i suoi costi di intermediazione, non sarebbe il caso di spezzare questo circolo vizioso? Riduciamo un po' le pensioni e contestualmente i contributi?
Il mio ragionamento per quanto fondato su verità, è ovviamente, all'ingrosso. Certamente non tutti i giovani hanno un lavoro precario, e non tutti i genitori aiutano i figli o hanno case di proprietà. Però rileva la presenza di insensatezze, per usare una parola gentile, nel welfare state italiano. Nei fatti, i precari garantiscono la pensione ai pensionati, il che non pare una cosa normale. Praticamene chi è più debole aiuta chi debole non è o non lo è stato. È necessario ridurre la pressione contributiva e fiscale, ma per fare ciò è anche necessario intervenire sulle pensioni. Tralasciando di intaccare le minime, non credo che sia così assurdo limare la pensione di chi è andato in pensione a 35-40 anni di età, per esempio, o chi ha goduto di contribuzioni figurative. Indubbiamente sono andati in pensione sfruttando le leggi esistenti, e razionalmente hanno fatto bene ad approfittarne, ma un'ingiustizia rimane comunque un'ingiustizia.